Parafrasando il vecchio adagio potremmo affermare che non solamente la mela, bensì anche le applicazioni smartphone sulla salute tolgono il medico di torno.
Durante la pandemia COVID-19 in molti hanno delegato alle applicazioni disponibili su play store (o itunes) il benessere fisico del proprio corpo attraverso un tracciamento capillare sulla salute e/o programmi personalizzati di fitness.
Con le palestre chiuse, ospedali e centri medici (quasi) esclusivamente dedicati a terapia intensiva o comunque riservati a pazienti COVID e urgenze, queste applicazioni hanno senza dubbio fornito grande assistenza a tutte le persone che per dovere o piacere necessitavano di supporto.
Come ben sappiamo, gli onori vanno di pari passo con gli oneri e in tema privacy a enormi potenzialità corrispondono sempre importanti rischi.
Quindi la domanda è la seguente: i dati sensibili raccolti rispettano il GDPR?
I problemi privacy dell’app Immuni era uno specchietto per le allodole?
Nel “fallimento” dell’applicazione Immuni, nata con lo scopo di tracciare tutte le relazioni per mappare i contatti di persone positive e individuare i potenziali contagiati, gran parte delle responsabilità va attribuita allo scetticismo generale in merito alla gestione e al trattamento dei dati.
Legittima o meno, di fatto è stata creata una battaglia mediatica discriminatoria per mettere in guardia tutti gli utenti dal prestare molta attenzione nella concessione dei propri dati all’app.
Limiti probabilmente dettati dalla frenesia del momento e dalla gravità della problematica da risolvere di cui il nostro esperto ha parlato in un precedente articolo del blog.
In sostanza la grande adesione e il numero massiccio di download di cui necessitava l’app per funzionare è venuta meno determinando il fallimento di questa strategia.
Le altre applicazioni sulla salute rispettano la privacy degli utenti?
Per rispondere a questa importante domanda Macquarie University ha condotto una ricerca pubblicata su The British Medical Journal che ha analizzato più di 20 mila app, di cui 15 mila relative alla salute.
I dati che emergono delineano un quadro allarmante e rilevano tanta quantità di polvere non percepita, nascosta sotto il “tappeto sporco” rappresentato da Immuni:
- L’88% delle app includeva codice che potrebbe potenzialmente raccogliere i dati degli utenti;
- Il 4% delle app ha trasmesso informazioni relative ai dati degli utenti;
- Il 23% delle trasmissioni di dati degli utenti è avvenuto su protocolli di comunicazione non sicuri;
- Solo il 2% delle recensioni degli utenti ha sollevato preoccupazioni sulla privacy;
- Il 28% delle app aveva testi informativi inadeguati sul trattamento privacy.
Cosa ci dicono questi dati: la parola agli esperti
Come evidenzia l’editoriale del “Il Dubbio” la tecnologia, dopo essere venuta in soccorso della libertà di espressione, delle libertà economiche, della libertà di insegnamento e del diritto al lavoro, ora è chiamata ad esaudire il diritto fondamentale alla salute dei cittadini.
Il prezzo da pagare per ottenere questo diritto non può essere la perdita del controllo delle informazioni personali e dei propri dati sensibili, dati in pasto a terze parti allo scopo di profilazione per attività di marketing.
I numeri emersi dalla ricerca fotografano un contesto a dir poco deficitario e soprattutto una mancata consapevolezza del pericolo da parte degli utenti.
Manca consapevolezza anche nei medici che “dovrebbero riportare queste informazioni ai pazienti per determinare rischi e benefici dei programmi di gestione sanitaria” commenta Gioacchino Tangari della Macquarie University a cui gli fa eco il collega Muhammad Ikram “va introdotta una regolamentazione adeguata che stabilisca le responsabilita per garantire un trattamento adeguato, in linea con le regole”.
Anche Mirco Musolesi dell'Università di Bologna e Benjamin Baron dello University College London hanno espresso il proprio dissenso, proponendo una soluzione: “Pensiamo sia importante far vedere agli utenti quali e quante informazioni personali vengono raccolte e chiedere il consenso esplicito”.