All’interno del mondo legato alla privacy, il termine “sorveglianza” viene sempre visto di cattivo occhio, come se rappresentasse l’antagonista onnipresente difficile da sconfiggere.
Pierluigi Perri, Professore di informatica giuridica avanzata presso l'Università degli Studi di Milano, durante il suo intervento in occasione dell’ottavo Privacy Day Forum ha sfatato un tabù: la sorveglianza è un concetto neutro.
Nonostante il titolo dello speech fosse “il rischio della sorveglianza di massa e le minacce alla privacy”, la sorveglianza non è un rischio, bensì un fenomeno attuale.
La distinzione tra bene e male, come spesso accade, non è affatto semplice da fare.
Banalmente si potrebbe identificare nei nuovi proprietari dei dati, i reali beneficiari della sorveglianza e nelle persone che forniscono i dati, le vittime del processo: ma non è esattamente così.
L’evoluzione della sorveglianza di massa
La sorveglianza di massa si è evoluta ed è molto lontana dal Big Brother descritto da George Orwell: ora si può parlare di sorveglianza Kafkiana.
L’individuo è diventato un consumatore sorvegliato da numerosi sistemi, più potenti e decentralizzati rispetto al passato.
Paul-Michel Foucault, sociologo francese, sostiene che il controllo sociale è un meccanismo intenzionale mosso dalla collettività verso l’individuo affinché esso si conformi ai valori che formano l’ordine sociale.
Chi non aderisce alla condivisione di informazioni, il principale valore dell’attuale ordine sociale, è punito con l’isolamento: sono i social i testimoni di questo fenomeno.
Cambiare la percezione e i tratti definiti dai dati raccolti dalla sorveglianza di massa sarebbero difficili, o probabilmente impossibili, da cambiare.
Perciò le domande fondamentali sorgono spontanee: i valori dell’attuale ordine sociale sono corretti? Il cittadino può opporsi a queste intromissioni alla vita personale?
La sorveglianza di massa che fa riflettere
Esistono numerose vicende che dovrebbero far riflettere sulla tendenza e sul potere della sorveglianza di massa.
La sorveglianza legata al potere centrale dello Stato, la sorveglianza ai sistemi di rete, la sorveglianza capitalistica, ma anche la sorveglianza come contrasto alla criminalità.
Sono tante le accezioni del termine e numerosi i casi da studio su cui riflettere:
- Riconoscimento facciale in Cina
In Cina durante un concerto musicale con 70 mila spettatori, la polizia è riuscita attraverso un sistema di riconoscimento facciale evoluto a individuare e prelevare una determinata persona tra la folla.
- La videosorveglianza in Italia
Ha destato molto scalpore il pestaggio del Cinema America in Italia. I colpevoli sono stati identificati grazie all’utilizzo di numerosi sistemi di videosorveglianza incrociato di altri servizi commerciali.
- Il chilling effect in Cina
L’ufficio dell’artista cinese Ai Weiwei è videosorvegliato sia all’entrata, sia all’uscita. Questo controllo che determina il fenomeno “chilling effects”, ossia il timore di esercitare diritti per paura di subire conseguenze pregiudizievoli.
- Il social sorting in America
Il “social sorting” è il fenomeno americano che descrive la sorveglianza come strumento di classificazione. Un tempo gli indigeni di colore, in assenza di un’altra persona di razza bianca al proprio fianco, dopo il tramonto erano costretti a girare per le strade con delle lanterne che permettessero il riconoscimento.
- I profili social per il visto americano
Un esempio della sorveglianza come strumento per prendere decisioni è dato dall’obbligatorietà di fornire l’accesso ai propri profili social allo scopo di reperire informazioni per ottenere il visto per entrare negli USA.
- Il social rating cinese
Per finire con il social rating presente In Cina. A ogni persona corrisponde un punteggio figlio dei comportamenti tenuti. Il punteggio determina l’accesso o meno a determinati servizi o eventuali punizioni.
Come il diritto può tutelare la privacy dalla sorveglianza di massa?
In questo scenario appare difficile quali ed eventualmente dove stabilire i confini che delimitano il diritto alla privacy e la sorveglianza di massa.
Il GDPR, seguendo il principio di accountability, prevede la valutazione di impatto e l’adozione di principi fondamentali come la trasparenza, la pertinenza, la minimizzazione e la limitazione della conservazione dei dati.
Ma il GDPR per quanto innovativo e completo, non può essere uno strumento sufficiente per arginare il fenomeno ed evitare i rischi di abuso o cattivo uso perché non esiste ancora una disciplina capace di tutelare la sorveglianza elettronica.
Occorre integrare l’articolo 15 della costituzione italiana, il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, alcuni articoli del Codice Penale riguardanti la comunicazione e le corrispondenze e l’articolo 8 della Carta dei Diritti dell’Uomo.
Il professionista della privacy dovrà adottare un approccio ampio e trovare un perfetto bilanciamento per valutare i vari conflitti e la legittimità o meno di uno strumento di sorveglianza.